Pesto&Mortaio - ADI International Design Contest
Tipicamente sostenibile
Alcuni anni fa, nella sua vecchia casa tra le mura della città antica, il Professore ci chiese: “qual é, secondo voi, l’oggetto di design più sostenibile?”
A questa domanda esistono molte risposte. Si potrebbero citare numerosi esempi che soddisfano al meglio questo requisito. Quelli che utilizzano materiali non tossici, riciclati o riciclabili, realizzati attraverso processi produttivi che, durante il ciclio di vita, limitano o addirittura non generano più scarti (rifiuti o emissioni) di quanti possano essere assorbiti naturalmente. Un oggetto con una buona resistenza all’usura ed il cui funzionamento non richieda consumi energetici. Che preveda la possibilità di sostituzione o recupero delle parti che lo compongono, e addirittura un secondo utilizzo a fine vita, sia solo come materiale che come funzione. Tutte efficaci componenti di un moderno eco-design.
Dopo aver ascoltato la nostra articolata e ragionevole risposta, il Professore ci ha svelato la sua personale soluzione del quesito: “l’oggetto di design più sostenibile è quello che già si ha”.
A pensarci bene è proprio così. L’oggetto di design più sostenibile è il risultato di un’evoluzione, un adattamento progressivo dell’uso, delle abitudini e dei bisogni, un adeguamento a sempre nuove esigenze. “Partire da quello che già c’è” è il presupposto ovvio, ma forse non così scontato, che ha ispirato la nostra proposta per questo concorso.
A questa domanda esistono molte risposte. Si potrebbero citare numerosi esempi che soddisfano al meglio questo requisito. Quelli che utilizzano materiali non tossici, riciclati o riciclabili, realizzati attraverso processi produttivi che, durante il ciclio di vita, limitano o addirittura non generano più scarti (rifiuti o emissioni) di quanti possano essere assorbiti naturalmente. Un oggetto con una buona resistenza all’usura ed il cui funzionamento non richieda consumi energetici. Che preveda la possibilità di sostituzione o recupero delle parti che lo compongono, e addirittura un secondo utilizzo a fine vita, sia solo come materiale che come funzione. Tutte efficaci componenti di un moderno eco-design.
Dopo aver ascoltato la nostra articolata e ragionevole risposta, il Professore ci ha svelato la sua personale soluzione del quesito: “l’oggetto di design più sostenibile è quello che già si ha”.
A pensarci bene è proprio così. L’oggetto di design più sostenibile è il risultato di un’evoluzione, un adattamento progressivo dell’uso, delle abitudini e dei bisogni, un adeguamento a sempre nuove esigenze. “Partire da quello che già c’è” è il presupposto ovvio, ma forse non così scontato, che ha ispirato la nostra proposta per questo concorso.
Un prodotto tipico come il Pesto Genovese, le materie prime che lo compongono e gli utensili necessari per farlo, sono il risultato di una tradizione alimentare che si è evoluta nel tempo e sono espressione del territorio d’origine. Studi sulla filiera produttiva e i processi di lavorazione di alcuni prodotti tipici hanno dimostrato che la qualità delle produzioni tradizionali va di pari passo con la sostenibilità ambientale. Partendo da questo presupposto abbiamo ritenuto importante contribuire al concorso con uno sguardo rivolto principalmente agli aspetti ambientali per la valorizzazione e promozione del Pesto Genovese. Conoscere il valore ambientale può rappresentare non solo un autentico valore aggiunto per fare della nostra dieta una buona pratica ma anche un importante strumento per la progettazione nell’ambito del food design.
La diffusione di produzioni artigianali di Pesto Genovese pronto all’uso e le moderne abitudini domestiche nella preparazioni dei cibi hanno introdotto sempre di più l’uso di cutters alimentari per la preparazione della salsa fredda. Il tradizionale mortaio in marmo bianco di Carrara e pestello in legno di faggio o d’ulivo sono spesso sostituiti da strumenti in acciaio e plastica che consumano energia elettrica. Che cosa significa dal punto di vista ambientale?
Utilizzando un indicatore ambientale, la Carbon Footprint, ovvero la stima delle emissioni di gas serra in atmosfera, è possibile calcolare i potenziali impatti delle singole fasi del ciclo di vita. Nel caso del Pesto Genovese, intendiamo per ciclo di vita l’intera filiera produttiva, dalla coltivazione del basilico in serra, alla trasformazione in pesto, fino all’invasettamento.
Utilizzando un indicatore ambientale, la Carbon Footprint, ovvero la stima delle emissioni di gas serra in atmosfera, è possibile calcolare i potenziali impatti delle singole fasi del ciclo di vita. Nel caso del Pesto Genovese, intendiamo per ciclo di vita l’intera filiera produttiva, dalla coltivazione del basilico in serra, alla trasformazione in pesto, fino all’invasettamento.
I risultati riportati nelle tavole derivano da una procedura LCA (Life Cycle Assessment) conforme alle norme ISO di riferimento (ISO 14040-44). Si tratta di dati reali relativi ad una produzione tipo di Pesto Genovese.
Per 90g (due porzioni) di Pesto Genovese lavorato con cutter alimentare e invasettato per la commercializzazione nella stessa azienda che produce il basilico, si emettono mediamente 0,68 kg CO2 eq.
Contrariamente a quanto inizialmente immaginato gli impatti dovuti alla produzione di basilico che prevede la coltivazione in ambiente protetto con l’utilizzo di serre riscaldate incide solo del 6%.
Per 90g (due porzioni) di Pesto Genovese lavorato con cutter alimentare e invasettato per la commercializzazione nella stessa azienda che produce il basilico, si emettono mediamente 0,68 kg CO2 eq.
Contrariamente a quanto inizialmente immaginato gli impatti dovuti alla produzione di basilico che prevede la coltivazione in ambiente protetto con l’utilizzo di serre riscaldate incide solo del 6%.
Gran parte degli impatti (78%) sono dovuti alla trasformazione e produzione del pesto.
Per questa fase, abbiamo analizzato i due diversi strumenti di lavorazione: il mortaio e il cutter alimentare. Nel caso di utilizzo del mortaio, il marmo, nonostante sia un materiale pregiato e assolutamente non rinnovabile, ha impatti trascurabili proprio per le sue caratteristiche di durabilità. Il mortaio è un utensile che molte famiglie, soprattutto liguri, conservano nelle proprie dispense e che spesso hanno ereditato dalla propria nonna.
I materiali con cui è realizzato il cutter alimentare, principalmente acciaio e plastica e il tempo di vita limitato dell’elettrodomestico (circa 5 anni) determinano un problema di disassemblaggio e fine vita. Il lavaggio richiede l’uso di detergenti e la lavorazione consuma energia. Al contrario il mortaio ha un tempo di vita indefinitamente lungo e non richiede l’uso di detergenti e consumi energetici.
Il risultato ci dice che per produrre Pesto Genovese con il mortaio, fatto in casa o al ristorante e quindi senza considerare la fase di packaging, le emissioni si abbassano a 0,56 kg CO2 eq con un risparmio del 17% rispetto alle emissioni dovute alla lavorazione con cutter alimentare.
Per questa fase, abbiamo analizzato i due diversi strumenti di lavorazione: il mortaio e il cutter alimentare. Nel caso di utilizzo del mortaio, il marmo, nonostante sia un materiale pregiato e assolutamente non rinnovabile, ha impatti trascurabili proprio per le sue caratteristiche di durabilità. Il mortaio è un utensile che molte famiglie, soprattutto liguri, conservano nelle proprie dispense e che spesso hanno ereditato dalla propria nonna.
I materiali con cui è realizzato il cutter alimentare, principalmente acciaio e plastica e il tempo di vita limitato dell’elettrodomestico (circa 5 anni) determinano un problema di disassemblaggio e fine vita. Il lavaggio richiede l’uso di detergenti e la lavorazione consuma energia. Al contrario il mortaio ha un tempo di vita indefinitamente lungo e non richiede l’uso di detergenti e consumi energetici.
Il risultato ci dice che per produrre Pesto Genovese con il mortaio, fatto in casa o al ristorante e quindi senza considerare la fase di packaging, le emissioni si abbassano a 0,56 kg CO2 eq con un risparmio del 17% rispetto alle emissioni dovute alla lavorazione con cutter alimentare.
Da un punto di vista del food design, la nostra analisi dimostra che l’aspetto decisamente più importante per garantire la sostenibilità della produzione di Pesto Genovese è la selezione degli ingredienti.
Se l’ingrediente principale, il Basilico Genovese, e quindi tutta la sua filiera produttiva incide solo per il 7%, il Parmigiamo incide per il 48 e l’olio evo per il 28,3%.
Questo ci dice molto sulla necessità di abbinare ad un “buon” basilico, ingredienti altrettanto pregiati anche dal punto di vista ambientale. Ad esempio, con un olio evo IGP biologico si risparmiano fino al 72% delle emissioni rispetto ad uno convenzionale.
Un “buon” basilico, anche se attualmente non è previsto dal disciplinare della Dop “Basilico Genovese”, in un futuro prossimo, potrebbe essere coltivato con sistema idroponico in serre verticali alimentate con energia da fonti rinnovabili e che ottimizzano l’utilizzo dei fertilizzanti: sistemi low carbon o addirittura a emissioni zero che permetterebbero la convivenza della coltura con la città soprattutto nelle aree del ponente genovese dove l’urbanizzazione e la vocazione portuale hanno lasciato poco spazio alle serre tradizionali.
Nella produzione artigianale, la fase di packaging, in vasetti di vetro e imballaggio in cartone incide per il 16%. Un dato che può ridursi fino a 10% nel caso si usi vasetti in PLA, ossia Acido Polilattico, al posto del vetro, un materiale biodegradabile derivato dalle fibre del mais, che ha il vantaggio di limitare l’impatto di fine vita del rifiuto.
Se l’ingrediente principale, il Basilico Genovese, e quindi tutta la sua filiera produttiva incide solo per il 7%, il Parmigiamo incide per il 48 e l’olio evo per il 28,3%.
Questo ci dice molto sulla necessità di abbinare ad un “buon” basilico, ingredienti altrettanto pregiati anche dal punto di vista ambientale. Ad esempio, con un olio evo IGP biologico si risparmiano fino al 72% delle emissioni rispetto ad uno convenzionale.
Un “buon” basilico, anche se attualmente non è previsto dal disciplinare della Dop “Basilico Genovese”, in un futuro prossimo, potrebbe essere coltivato con sistema idroponico in serre verticali alimentate con energia da fonti rinnovabili e che ottimizzano l’utilizzo dei fertilizzanti: sistemi low carbon o addirittura a emissioni zero che permetterebbero la convivenza della coltura con la città soprattutto nelle aree del ponente genovese dove l’urbanizzazione e la vocazione portuale hanno lasciato poco spazio alle serre tradizionali.
Nella produzione artigianale, la fase di packaging, in vasetti di vetro e imballaggio in cartone incide per il 16%. Un dato che può ridursi fino a 10% nel caso si usi vasetti in PLA, ossia Acido Polilattico, al posto del vetro, un materiale biodegradabile derivato dalle fibre del mais, che ha il vantaggio di limitare l’impatto di fine vita del rifiuto.
La nostra risposta al concorso “Pesto&Mortaio” afferma provocatoriamente che dal punto di vista ambientale “il mortaio più sostenibile è quello che già c’è”.
Per questo la nostra proposta progettuale non realizza un vero e proprio progetto di design del singolo utensile ma indaga tutte le possibili soluzioni per le buone pratiche che contribuiscono a promuovere la sostenibilità del prodotto, del territorio e dell’ambiente evitando quelle che potrebbero apparire semplici azioni di greenwashing.
Questa è l’interpretazione che diamo di un corretto processo di food-eco-design.
Per questo la nostra proposta progettuale non realizza un vero e proprio progetto di design del singolo utensile ma indaga tutte le possibili soluzioni per le buone pratiche che contribuiscono a promuovere la sostenibilità del prodotto, del territorio e dell’ambiente evitando quelle che potrebbero apparire semplici azioni di greenwashing.
Questa è l’interpretazione che diamo di un corretto processo di food-eco-design.